UN MEDICO PER LA SANITA' MALATA

Pubblicato il da poesieantonio

      Lettera pubblicata da "il Messaggero" il 22/ 02/ 2010

 

Lettera aperta a chi è preposto all’organizzazione ed al controllo di tutte le branche della sanità e a chi possiede ancora sentimenti e umana dignità.

 

Occasioni recenti e passate, personali o relative a parenti od amici, mi spingono a riflessioni e considerazioni a dir poco sconcertanti.

Il pensiero vola al vecchio pronto soccorso di un grande Ospedale romano, dove anche se arrivavi con una macchina privata, trovavi un infermiere o un portantino che ti aiutava e ti conduceva nelle sale preposte.

Dopo l’attesa necessaria ma mai scandalosa,il medico di turno procedeva alla visita e decideva, dopo le prime cure, se mandarti a casa, al reparto di competenza o alla cosiddetta “Astanteria”dove attendevi il trasferimento in un reparto più idoneo oppure uno stato di salute sufficientemente buono da consentire le dimissioni.

Nell’Astanteria, oltre che dell’assistenza medica ed infermieristica si poteva usufruire dei letti e di un abbigliamento più comodo.

Non erano ovviamente tutte rose e fiori, esistevano anche allora delle gravi carenze, ma forse lo spirito, l’approccio era diverso.

Oggi il pronto soccorso è strutturato in modo che il paziente che arriva con una macchina privata, non trova nessun paramedico ad aiutarlo e una volta espletate le sante pratiche burocratiche, se viene catalogato come codice verde o addirittura bianco, deve “accomodarsi”in una sala d’attesa dove impazza la bolgia di pazienti con dolori più o meno acuti, più o meno seri.

Passa il tempo ma poi arriva la chiamata: anamnesi, prelievi, eventuali lastre ed inizia una seconda fase d’attesa in una stanza già piena di pazienti o nel corridoio anch’esso occupato.

Non essendoci letti, puoi sederti su di una sedia o su di una poltrona o nell’ipotesi la tua stella sia proprio illuminata, puoi usufruire di una lettiga lasciata libera.

Terapia ,se indispensabile, e poi se le condizioni lo richiedono, ulteriore attesa che si protrae per ore o per giorni prima di essere trasferito.

La sera qualche infermiere pietoso, distribuisce un po’ di pane e formaggio che risulta essere l’unica alimentazione della giornata.

Appunto la giornata che passa tra la sofferenza fisica e morale, che passa senza la necessaria alimentazione senza che tu possa usufruire di un abbigliamento adeguato ( “Nel pronto soccorso non servono ne il pigiama ne le ciabatte” dichiara l’operatrice che si trova all’ingresso), passa con la rabbia nel cuore ed una totale impotenza.

Parenti ed accompagnatori sono costretti a passare le ore serali e notturne, in compagnia di barboni, drogati e alcolizzati che si appropriano con violenza e arroganza delle panche che sono nella sala d’attesa.

Finalmente dopo giorni pieni d’angoscia, si libera un posto, magari al corridoio, nel reparto di competenza dove cominci ad avere la necessaria attenzione.

Davvero dobbiamo chiudere gli occhi davanti a tanta indifferenza, a tanta disorganizzazione, a tanto dolore?

Ben vengano i nuovi pronto soccorso, ben venga un nuovo modo di offrire assistenza sanitaria, ben venga la telematica, l’informatica e tutto ciò che esiste di tecnologico che possa rendere il servizio più efficiente.

Ma ben venga soprattutto una presa di coscienza da parte degli operatori sanitari che è necessario il recupero del rapporto umano con il paziente che è necessario il recupero di quei sacri valori che sono la base portante della missione intrapresa.

Sono certo che gran parte del personale sanitario si prodiga con passione nell’aiutare chi ha bisogno, ma forse una diversa e più capillare organizzazione, uno spirito diverso, annullerebbero quelle macchie oscure che sporcano l’operato di tanti fantastici operatori.

Capita ed è capitato, che una paziente ricoverata abbia la necessità di installare un catetere per la dialisi.

L’appuntamento è fissato per le ore 14 in un ospedale adiacente (appartenente alla stessa unità sanitaria) ma fino alle 15,15 non riceve nessuna comunicazione dal personale medico o paramedico.

Il marito della paziente alla richiesta di spiegazioni, si sente rispondere:” Abbiamo appena chiamato, stanno venendo a prenderla”.

La tensione aumenta anche perché oltre al digiuno alimentare che è iniziato il giorno precedente, dalla mezzanotte non le è consentito bere ed il marito si prodiga quanto meno a bagnarle le labbra.

Vorrei evidenziare che oltre da patologie varie ad abbastanza gravi, la paziente è affetta da ipertensione arteriosa e cardiopatia ostruttiva.

Sono le ore 16,30 quando il marito si reca di nuovo a chiedere spiegazioni con un atteggiamento meno paziente rispetto al precedente colloquio evidenziando una lampante superficialità e menefreghismo degli operatori.

Finalmente alle 16,40, dopo un ennesimo scontro verbale con una infermiera che si arroga il giusto diritto di allontanare il marito della paziente perche l’ora delle visite è esaurita, arrivano i barellieri che in qualche modo tranquillizzano l’animo dell’uomo e accompagnano la paziente nella sala dell’intervento.

Qui trova un simpatico chirurgo che la sta aspettando dall’ora stabilita (le 14) ed alla richiesta di spiegazioni per così tanto ritardo,i barellieri rispondono che c’è carenza di personale.

La donna appena installato il catetere, avrebbe dovuto iniziare la dialisi, ma siamo ormai alle 18 e non c’è più tempo per fare ciò che era stato stabilito dai medici.

Si torna quindi all’Ospedale di partenza con la speranza di iniziare la dialisi il giorno seguente e con l’angosciosa domanda:”I barellieri arriveranno nei tempi prefissati o saranno nuove “emergenze” a dilatare i tempi d’attesa?

Parlo di emergenze perché una graziosa dottoressa del reparto, ha imputato il ritardo dei barellieri a fantomatiche emergenze, dove emergenza significa pericolo di vita(parola di dottoressa), evidentemente quel giorno al Nosocomio il “settore pericolo di vita” era intasatissimo.

Nasce tra la dottoressa suddetta ed il marito della paziente, un’accesa discussione in quanto l’uomo si è permesso di tacciare di menefreghismo il personale del reparto.

Ma qualcuno si è fatto forse carico dei problemi drammatici che la paziente e la sua famiglia si trovano ad affrontare dall’oggi al domani, senza aver avuto alcun supporto psicologico né alcun gesto di umana partecipazione, né alcun interesse per rendere meno gravosa la degenza e la ripresa di una vita che nella migliore delle ipotesi, sarà irta di ostacoli che saranno o sembreranno insormontabili?

Forse l’espressione menefreghismo può risultare offensiva, ma suggeritemi voi un termine più appropriato per definire un atteggiamento incomprensibile,passivo e non partecipe.

Non è necessario avere la fortuna di aver studiato medicina(io, come tanti altri, non ho potuto farlo per questioni economiche e familiari e se esiste un Dio da qualche parte,sa quanto lo desiderassi), dicevo non bisogna essere dottori per capire che la psicologia e la base portante di questa meravigliosa scienza.

Non sarebbe più onesto riconoscere che spesso l’organizzazione è precaria, che non esiste il necessario collegamento tra i reparti, che al pressapochismo ed alla superficialità di alcuni si sopperisce con l’impegno, l’abnegazione, la professionalità di altri?

C’è all’ingresso del reparto un bel cartello che recita più o meno così:”All’attenzione dei familiari dei degenti, i Medici conferiscono con i familiari nei seguenti giorni e orari……..”.

Ma se tu ignaro familiare del degente, hai l’ardire di prendere un permesso per parlare con i medici,ti trovi a dover superare l’ostacolo di una legge sulla “Privacy”che impone di non aver segreti verso la paziente sul suo reale stato di salute ma non consente di informare separatamente neanche i familiari più stretti.

Ma può spiegarmi qualcuno cosa diavolo ci sta a fare quel cartello messo in bella mostra sulla porta d’ingresso al reparto se poi i familiari non possono essere ricevuti dai medici per una discutibilissima e opinabile legge ( ma siamo certi che questa legge esiste davvero?).

Proseguiamo il racconto di questa “Odissea”: la paziente deve essere sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico in un altro ospedale limitrofo per l’installazione di un catetere peritoneale che le consentirà di effettuare la dialisi riducendo i rischi al cuore.

Tutti sappiamo che l’intervento è fissato per mercoledì ma evidentemente carnevale docet e quindi qualche buontempone, comunica che sarà anticipato a martedì, quindi digiuno dalla sera precedente e divieto di bere dalla mezzanotte.

Una nuova attesa carica di tensioni e di problemi fisici si protrae per l’intera giornata di martedì senza che succeda assolutamente nulla se non il turbamento di aver passato una giornata senza alimentazione, senza idratazione e senza terapia.

Alle 19 di martedì la paziente viene trasferita nell’ospedale limitrofo dove il giorno seguente sarà eseguito l’intervento programmato e oltre alla preparazione di routine deve affrontare i disagi derivanti dall’assenza di alimentazione e terapia.

Siamo a mercoledì ed il catetere viene impiantato nel pomeriggio con un intervento tecnicamente perfetto suppongo, vista la bravura riconosciuta del chirurgo (siamo in un polo d’eccellenza) ed intanto trascorre un altro giorno senza alimentazione e senza terapia.

Nella giornata di giovedì alla richiesta legittima della paziente,se dovesse passare un altro giorno senza terapia, una infermiera del reparto le risponde con sufficienza che rasenta l’indifferenza:” ora controllo e poi ti faccio sapere”, nessuno nel proseguo della giornata si è degnato di verificare se fosse necessario farle assumere una qualsiasi terapia relativa al suo stato.

Nessuno del personale medico o paramedico, ha imposto o quantomeno consigliato alla donna di non alzarsi dal letto visti i tre giorni trascorsi senza alimentazione e terapia e viste soprattutto le sue problematiche cliniche e quindi nel momento in cui la paziente si alza per prepararsi ad eseguire la dialisi nell’ospedale vicino, accade il dramma.

Ai margini della vicenda, una semplice osservazione mi ronza nelle orecchie: visto che al piano terra dell’ospedale dove si trova ricoverata esiste un moderno centro di emodialisi mi chiedo perché non si possa evitare il trasferimento con relativo viaggio, anche se breve, in ambulanza con tempi d’attesa lunghi e sballottolamenti vari.

Siamo al tragico giorno di venerdì, è ancora senza terapia la donna quando si alza dal letto , ma le gambe non reggono anzi cominciano a tremare con violenza ma prima di stramazzare a terra riesce a urlare una richiesta d’aiuto che per fortuna viene ascoltata dai paramedici che attivano immediatamente tutte le procedure volte a salvarle la vita, via libera quindi al cardiologo ed ai rianimatori(la paziente non aveva più polso) che riescono a riportare la situazione alla “normalità”.

Alle successive richieste dei familiari volte a capire l’accaduto il personale paramedico si difende imputando l’avvenimento al fatto che la paziente fosse debole (senza alimentazione) e sentendosi cadere, lo spavento le avrebbe fatto salire la pressione arteriosa a livelli inaccettabili.

Questa e tante altre amenità unite alla convinzione di essere sempre nel giusto, caratterizzano l’accesa discussione.

Nessuno si è preoccupato dei vasti ed evidenti ematomi riportati in diverse parti del corpo a causa della caduta e del dolore da essi causati alla paziente.

Nessuno ha fatto riferimento alla mancanza di terapia, nessuno si è preoccupato dello stato psichico della paziente che ha vissuto questa terribile esperienza.

Non una parola che potesse esprimere umiltà o un minimo dubbio sulla possibilità di non aver gestito al meglio la situazione, ciò che ho ascoltato è stata semplice glorificazione delle proprie capacità.

Ancora oggi a distanza di molti giorni la donna rivive con paura ed angoscia quei momenti spaventosi.

Ancora oggi è assalita dal terrore di ritrovarsi in una situazione analoga persa nel buio di una situazione incontrollabile.

Il chirurgo, responsabile del reparto, ha ammesso candidamente:”se non fosse successo sarebbe stato meglio ma tutto sommato la paziente si è ripresa bene quindi tutto è bene quel che finisce bene”, queste parole gli sono state sfilate dal marito della donna, che gli chiedeva spiegazioni correndogli dietro dopo una lunga attesa (il medico è rimasto impegnato dalla mattina fino al pomeriggio inoltrato in una delicata operazione di trapianto) perché il suo turno era finito dopo una giornata di duro impegno.

Che posto particolare! sembra non esistere la figura del “medico di reparto” al quale rivolgersi in caso di delucidazioni, l’unico referente è il chirurgo e la sua presenza ovviamente si avverte per lo più in camera operatoria.

Ma perché gli utenti devono capire le giuste esigenze di medici e paramedici che ripeto fino alla noia, hanno nella maggior parte dei casi il mio plauso, la mia gratitudine e la mia più viva considerazione, mentre alle giuste esigenze di infermi e loro familiari non si da spesso il giusto valore?

Se qualcuno si riconosce come attore che ha partecipato a questi avvenimenti, non reagisca con rabbia pensando ad una lesa maestà, ma rifletta con dignità , ascolti e valuti con buon senso e coscienza.

Non ho volutamente elencato i nomi degli ospedali e degli operatori perché ciò che mi preme è lanciare un messaggio generale sullo stato della sanità.

Non posso però tacere sulla professionalità, partecipazione costante, disponibilità senza limiti e massima comprensione umana dimostrata dal dott. Lanzetta ed in secondo ordine dal suo staff.


 

Antonio Manca

 

 

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